Storie, misteri e leggende della Sardegna con Claudia Zedda

Eccoci all'ultimo giovedì del mese... pronti a sognare con i racconti di Claudia Zedda?

Bentrovati amanti dell’Isola magica. Oggi ho scelto per voi una storia che è un mix fra tradizione materiale e leggenda effimera, oggi ho scelto di parlarvi di pane, di linna pintada (letteralmente legno decorato), e diavoli. Il pane in Sardegna è una cosa seria. Avere pane nella Sardegna di ieri significava senza mezzi termini sopravvivere alle stagioni, ma avere sulla tavola pane decorato, significava garantirsi fortuna e buoni auspici. Non si spiegherebbe altrimenti tutto il lavoro che le massaie assicuravano al pane. E non mi riferisco semplicemente alla fase dell’approviggionamento dei materiali, lavorazione, all’impasto, all’attenzione per la lievitazione. Mi riferisco anche alla grande attenzione riservata alla decorazione. Non è un caso che alcuni pani rituali sardi siano belli di una  bellezza inviolabile, eterea, incantata. Localmente sono pintadi o frori(d)usu (letteralmente pitturati/decorati o fioriti). Di stampi per il pane, in Sardegna ce ne sono di ogni forma e tipo. Il supporto sul quale sono costruiti è quasi sempre lo stesso: il legno. Normalmente si sceglieva il legno di pero, il perastro o il ginepro e a lavorare questi piccoli gioielli, inaspettatamente belli, profumati di selvatico e primordiale erano i pastori. Non è un caso che le forme più ricorrenti di questi marcatori per il pane siano i cuori, meglio se fiammati. Si trattava di uno dei primi regali che l’uomo faceva alla donna. L’uomo intagliava l’oggetto con l’uso del solo coltello, dimostrando in questa maniera non solo il proprio amore per la futura sposa, ma pure la propria abilità. E’ proprio mentre i pastori lavoravano a questi oggetti che molte delle leggende isolane prendono vita. Ricorre spesso su contu dell’uomo di campagna che incontra per caso o per destino s’Aremigu, il nemico, il Demonio. A sottolineare il timore che si provava per questa creatura basti dire che solo per lei esisteva il tabù del nome: nominare s’Aremigu equivaleva ad invocarlo e quindi significava tirarsi contro una marea di guai. Ai pastori appariva a notte inoltrata, meglio se in assenza di luna. Si racconta che da alte lingue di fuoco fuoriuscissero figure eleganti: un giorno una donna, un giorno un cavaliere, altre volte un animale. Erano creature ammalianti o spaventose che in ogni caso segnavano in negativo il protagonista della vicenda. Non è un caso che in campagna, delle zolle di terra dove non cresce niente si dica che lì, e proprio lì sia comparso il s’Aremigu. Contro questa figura esistevano molti rimedi: amuleti, gesti scaramantici, brebus… ma questa è tutta un’altra storia.


1 commento