Diario di Vale: Melancolìa



Amici del Diario, eccovi il mio primo racconto; profuma d'estate, di quegli amori testardi e invincibili sino a quando il sole brucia, amori che spesso ci hanno regalato qualche lacrima e tante emozioni. Abbiamo riempito diari interi di fotografie, carte di gelati, scontrini e polaroid scattate di fronte alla vastità di un blu grande quanto il nostro cuore. 
Quanto un amore straordinario e fragile.




La marea sale, il mare sbatte su piedi e pensieri di un corpo svuotato, carne che non reagisce, non più.
Le stelle sono fredde, stanotte, nel cielo settembrino di cotone nemmeno un po’ di luce polare a indicare la strada. Si è persa, smarrita nei sentieri del non detto, nei crateri lasciati nella sabbia dagli ombrelloni spiantati e buttati in un angolo in attesa dell’inverno. Come lei, la sagoma di una piccola donna che si trascina dietro un’anima che possiede solo per metà, da quando un paio di occhi gliel’hanno rubata.
Pezzi di conchiglie, di storie millenarie polverizzatesi nel respiro del mare, sfiorano le sue unghie laccate eppure sbiadite nel fuoco dei falò ormai diventati brace, fra le parole ingoiate con una bottiglia di rhum per farsi coraggio, per vivere quell’amore folle e disgraziato di un’estate. Era un bambino fragile, le avevano detto, uno di quelli da tenere in terapia intensiva a lungo prima di poter respirare l’aria degli umani, ma lei non ha voluto sentire. Ci si è infilata a forza in quell’amore disperato, sbagliato per migliaia di ragioni eppure benedetto per un cuore assetato. Ma fa male ricordare le birre in fila sui frangiflutti giù al porto, quando la notte non era mai abbastanza lunga, le felpe che all’alba sapevano di sale e abbracci, e quella barba che le graffiava la guancia e che le piaceva tanto, che aveva soprannominato affettuosamente “il mio scrub naturale”.
Inspira, espira. Stringe le braccia intorno alle ginocchia bianche, ossute a causa della malinconia –melancolìa, la correggeva sempre lui- circumnavigando il neo che gli piaceva tanto. Ci aveva costruito storie, intorno a quel punto di pelle scura.
Ma tracciare di nuovo quella rotta è come puntarsi un pezzo di vetro alla gola; sente il sangue caldo colare lungo il braccio, e chiude gli occhi prima del buio, della pace.
Le aveva promesso parole che non sono mai arrivate, messaggi in bottiglia che il mare non ha mai restituito. Eppure lei ne aveva mandati a decine; aveva raccolto tutte le birre che avevano bevuto insieme per affidarle alle onde insieme alle sue parole, pregando che arrivassero a lui. Invano.
Quell’amore è un’emozione contro cui ha lottato a lungo, che pure le è rimasta appicciata ai vestiti come l’odore di nafta delle barche ormeggiate che scivola via seguendo il vento confuso di quella notte, senza bussola. Le voci dei portuali con i maglioni rattoppati e le battute volgari sono ancora tutte lì, intrecciate alla cima del traghetto in partenza all’alba, giù all’imbarcadero, memento di un sentimento di sabbia asciutta, che scivola via veloce dalle dita ma che silente si deposita sotto le unghie.
Sulle labbra l’impronta di un bacio, l’ultimo scambiatosi al molo, e nelle orecchie l’eco del venditore di granite con la pelle bruciata e l’accento del sud del mondo, quando il sole con loro era ancora benevolo.
Ricordi di risate, di baci rincorsi e afferrati, si sciolgono nel ghiaccio al gusto di menta di un sole feroce, ora nero di mezzanotte.
Il vento all’improvviso alza la voce, battendo le mani come un vecchio oste burbero per cacciare gli ultimi avventori seduti in fondo alla sala in compagnia di troppe bottiglie vuote. Il mare si ribella a lui disegnando una virgola lungo la battigia, la curva di un cuore che ha smarrito la metà o forse solo la meta, questione di punteggiatura.
Le dita si intrecciano, connessioni involontarie riportano ad altre mani, altri respiri fusi nel chiuso di una cabina a strisce bianche e rosse col logo dei Bagni Stella e la maniglia rotta. Sulla pelle, nella pelle, l’odore dolciastro del filtro solare, di sale e calore, e sui polpastrelli la scia di quella tempesta di lentiggini in cui unire i punti diventava la più dolce delle sfide.
Freddo.
Anche i gabbiani tacciono, appollaiati nei loro rifugi di fortuna, al tepore di lampioni che non scaldano più da quando hanno smesso di fungere da parete ai baci degli amanti. Ci si rincorreva di notte, scappando dai cani randagi lanciati al galoppo per le vie del paese, fra i balconi che offrivano generosi il profumo dei gelsomini e le mani che si cercavano per rinnovarsi una promessa che sapevano si sarebbe infranta contro la data di partenza impressa sul biglietto di ritorno. Un foglio A4 schizzato di un inchiostro maledetto, un bisturi che ha cavato il cuore dalla sede.
Un’onda arriva, poi un’altra, a lambire ricordi senza più un nord.
Il pensiero corre veloce, veloce come le voci che il vento trascina dal paese dove si sta consumando l’ultimo atto di una stagione ormai incolore, mentre l’inganno si spegne negli altoparlanti che augurano la buonanotte ai partecipanti, prima che le luci affievoliscano.
Lei fissa l’orizzonte, le labbra incerte tra il riso e il pianto. Un cane ulula alla luna, il suo cuore alla schiuma bianca di un mare avaro di parole, di bottiglie in cui nascondere pensieri d’amore. Gli ultimi prima di andar via, verso una nuova stagione. Un noi ancora da inventare. 

5 commenti

  1. Molto poetico questo racconto. Poetico come le emozioni che vuole suscitare, come il mese di settembre, quando è ancora estate ma al contempo l'autunno protende le sue dolcemente malinconiche dita per prendere il suo posto. E poetico come gli amori che forse non sono mai stati tali ma che lasciano sulla loro scia uno struggimento autentico. Complimenti!

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