[RECENSIONE] E POI SAREMO SALVI - ALESSANDRA CARATI - MONDADORI


Buongiorno Sognalettori,
oggi sul blog ho scelto di parlarvi di un libro un po' fuori dalla mia confort zone, che però ha attirato la mia attenzione: "E POI SAREMO SALVI" di Alessandra Carati, pubblicato dalla casa editrice Mondadori, che ringrazio enormemente per il file digitale del libro. 📖🙂

Alessandra Carati vive a Milano e questo è il suo primo romanzo, frutto di ricerche e di lungo periodo di stesura e scrittura, per arrivare ad un libro non molto lungo, ma denso di storia e di episodi di vita.

E poi saremo salvi è insieme uno straordinario romanzo di formazione, una saga familiare, l’epopea di un popolo; ma è soprattutto il racconto di come una piccola, densa vicenda privata può allargarsi fino a riflettere la tensione umana alla “casa”, il posto del cuore in cui ci riconosciamo.

Qualcuno l'ha già letto? Che ne pensate?
Ovviamente attendo i vostri commenti sotto al post! 😉


IL ROMANZO


Titolo: E poi saremo salvi
Autore: Alessandra Carati
Data di uscita: 20 Aprile 2021
Genere: Narrativa Contemporanea italiana
Pagine: 276

Una bambina in fuga da una guerra e dai suoi fatali fantasmi, e la conseguente, tenace ricerca di una Heimat personale, capace di resistere ai terremoti del destino.
Aida ha appena sei anni quando, con la madre, deve fuggire dal piccolo paese in cui è nata e cresciuta. In una notte infinita di buio, di ignoto e di terrore raggiunge il confine con l’Italia, dove incontra il padre. Insieme arrivano a Milano.
Mentre i giorni scivolano uno sull’altro, Aida cerca di prendere le misure del nuovo universo. Crescere è ovunque difficile, e lei deve farlo all’improvviso, da sola, perché il trasloco coatto ha rovesciato anche la realtà dei suoi genitori. Nemmeno l’arrivo del fratellino Ibro sa rimettere in ordine le cose: la loro vita è sempre altrove – un altrove che la guerra ha ormai cancellato. Sotto la piena della nostalgia, la sua famiglia si consuma, chi sgretolato dalla rabbia, chi schiacciato dal peso di segreti insopportabili, chi ostaggio di un male inafferrabile. Aida capisce presto che per sopravvivere deve disegnarsi un nuovo orizzonte, anche a costo di un taglio delle radici.


Aprile 1992, Bosnia.
Gli abitanti sanno che sta arrivando la guerra e nel piccolo paesino c’è chi pensa che i combattimenti non possano giungere fin lì, e chi invece prende una difficilissima decisione: quella di lasciare tutto e di partire per andare all’estero a cercare la salvezza e una nuova vita… almeno momentaneamente, in attesa che la guerra finisca.
Lasciare la propria terra, la propria casa, i propri affetti per un viaggio pieno di incertezze non è una scelta da prendere a cuor leggero, soprattutto perché i tempi sono assai ristretti e i confini potrebbero chiudere molto presto, visto che già iniziano ad essere controllati da uomini armati che girano per la nazione.

Damir e Fatima, i genitori della piccola Aida (6 anni), sono tra questi temerari.
Il papà della bambina lavora già all’estero, ed è proprio lui ad organizzare il viaggio per la moglie incinta e la piccola, nonostante sia un viaggio lungo e pauroso, ma pensa che sia il modo più sicuro per proteggere la sua famiglia.
Certo, per fare ciò però dovranno lasciare la loro casa, i nonni, gli zii e il cuginetto Samir, e lanciarsi in una folle fuga a piedi seguita da mezzi di fortuna, partendo di notte e il più in fretta possibile.

Mio padre lavorava all’estero. Quando tornava, portava delle bambole nuove, così belle da sembrare vere. Al villaggio non ce n’erano come quelle, perciò le sotterravo subito in giardino, in un posto segreto. Erano il mio tesoro sepolto e nessuno le doveva toccare, né Samir, né Mirko, né gli altri bambini del villaggio. Babo al telefono aveva detto alla mamma: «Vai al catasto e prendi l’atto di proprietà della casa e del terreno. E i documenti tuoi e della bambina. E le foto. Tutto il resto lascialo». Ci aspettava appena oltre il confine, non poteva venirci a prendere perché presto avrebbero chiuso le frontiere. Dovevamo fare il viaggio da sole. Mia madre era incinta.

In quel periodo non esistevano assolutamente i cellulari, perciò comunicare con qualcuno in viaggio non era per nulla facile: proprio per questo motivo anche un piccolo imprevisto poteva portare a conseguenze pericolose! Tuttavia madre e figlia ricevono qualche aiuto al momento giusto, e dopo tanta angoscia ed incertezze, riescono a riabbracciare babo Damir, dove ben presto li raggiunge anche il nuovo nato, il piccolo Ibro, che nasce in Italia dopo pochi mesi dal loro arrivo.

Mio fratello è nato nell’ottobre del ’92, un neonato striminzito e rugoso. Babo gli ha fatto subito una foto. «Questa la teniamo per farla vedere al nonno.» Mi sono chiesta se il nonno sarebbe mai riuscito a conoscere il nipote così desiderato. Ogni cosa bella che accadeva presentava subito il conto: la mancanza di chi non c’era e l’incertezza del suo destino.

Da quando sono arrivati in Italia, però, le cose non sono assolutamente come speravano: sono rifugiati, vivono ammassati insieme ad altre 5 famiglie ed il pensiero rivolto agli amici e parenti in Bosnia è costante… e quella che ne risente di più è la piccola Aida.
Sebbene sia una bambina buonissima che si adatta a tutto, è pur sempre una bambina di 6 anni che vorrebbe poter giocare e divertirsi, ma allo stesso tempo percepisce ed assimila tutta la pressione che sentono i genitori dalla situazione precaria in cui stanno vivendo.
Ed Emilia e Franco, due volontari che aiutano le famiglie dei rifugiati, si affezionano subito alla bimba e cercano di suggerire delle soluzioni perché nel frattempo possa integrarsi e imparare qualcosa di più.

I miei genitori sembravano non fare caso alla mia assenza, erano in balìa di un caos perenne, non smettevano di dire che saremmo tornati in Bosnia e che la vita in Italia era una pausa tra due tempi. Perciò quando Emilia aveva detto che dovevano cominciare a pensare di mandarmi a scuola, erano rimasti spiazzati. «Fatima, tu credi che la bambina ne ha davvero bisogno?» ha chiesto mio padre una sera mentre cenavamo. «A me sembra che anche così va bene, sa l’italiano meglio di noi.» Babo si è voltato verso di me. «E tu, Aida, cosa dici?» Zitta, fissavo il piatto. Non lo sapevo cosa volevo fare. Ci sarei andata volentieri a scuola ma sentivo che per loro sarebbe stata una sofferenza. Iscrivermi significava ammettere che saremmo rimasti in Italia.

La bambina è sveglia ed impara prestissimo non solo l’italiano, ma a scuola è anche tra le più studiose… anche se la cosa non fa che infastidire i genitori, i quali sono convinti che quella situazione sia solo provvisoria, e di poter ritornare alla loro casa in Bosnia a guerra finita… peccato che le cose non vadano come previsto.
La guerra è devastante: si lascia dietro un sacco di morti e moltissime case vengono bruciate e rase al suolo… e tra queste c’è anche quella della famiglia di Aida. E nulla tornerà più come prima.

La guerra era finita, la frontiera era stata ricostruita e noi eravamo stati tagliati fuori dal nostro villaggio. Senza nemmeno un posto dove seppellire i morti. Allora i miei genitori avevano capito di aver perso tutto, ma proprio tutto e che per sempre sarebbero stati esuli, perché il Paese così come lo avevano conosciuto era andato perso. Avrebbero solo potuto immaginarlo e sognarlo e desiderarlo, e come accade con qualcosa che non può tornare, la nostalgia aveva preso possesso dei loro cuori. In babo era diventata rabbia, nello zio Tarik vino, in mia madre piccole disperazioni quotidiane che la coglievano all’improvviso, la svuotavano e la lasciavano senza forze. In me avevo acuito un senso di estraneità, che mi portavo dietro nella nuova vita italiana.

Il periodo post-guerra non è facile per nessuno, né per chi abita in Italia (dove non si sentono a casa), né per chi è rimasto in mezzo alla guerra: tutto è diverso, a maggior ragione tornare a casa da amici e parenti durante le vacanze, dove Aida non parla più molto il bosniaco e ha paura di sbagliare, di dire qualche parola che potrebbe venire presa troppo per “serba”… nonostante quella lingua una volta fosse unica, ma non più.
E non è neppure facile relazionarsi con chi invece non è partito, perché si sente osservata e giudicata quasi come una straniera…

Tutta la nostra vita era divisa tra un prima e un dopo, a dispetto dell’età che potevamo avere, vent’anni, quindici o ottanta. La vita prima della guerra era una dimensione parallela, a volte mi domandavo se fosse davvero esistita. La risposta era davanti a me in carne e ossa.

Le vicende della famiglia di Aida (protagonista del libro), si susseguono negli anni, descrivendo non solo le sensazioni della ragazza, ma anche le innumerevoli difficoltà della sua famiglia, che quasi non si rassegna al fatto che la guerra abbia cambiato tutto per sempre, come ad esempio la frase le ripetono continuamente i genitori:

«F​ai quel che ti pare, tanto prima o poi si torna al villaggio.»​​ Lo ripeteva da quasi dieci anni.

Aida quindi si trova divisa in due: da una parte c’è il suo lato bosniaco con tutte le tradizioni della sua famiglia, dall’altro c’è il suo lato italiano, che l’ha assorbita e trasformata attraverso la scuola... Aida è una studentessa eccellente, però allo stesso tempo c’è sempre qualcuno che le rinfaccia le sue origini.
Per lei è assolutamente difficile capire da che parte stare, perché non vuole dispiacere né la sua famiglia, né Emilia e Franco, che le sono stati così vicini negli anni e che vogliono il suo bene.

Il libro, che potrebbe sembrare apparentemente il racconto della vita di una giovane ragazza, non è solamente un romanzo di formazione, ma dialoga tra due filoni ben precisi che si intrecciano e scontrano tra loro: la storia reale della guerra (con tutte le conseguenze che si trascina dietro) e la vita dei personaggi nel corso degli anni.
In particolare l’autrice mette in rilievo i sentimenti e le vicissitudini che Aida e la sua famiglia devono affrontare: dopo esser scappati, non possono più tornare indietro, e anche se lo facessero non vivrebbero più la loro vita di prima che tanto amavano, e questo è assai doloroso.
Da una parte non possono tornare indietro (specialmente da quando la loro casa è stata distrutta dalle fiamme), dall’altra non si sentono a casa in una nazione così diversa in tutto e per tutto che non li accoglie al meglio…

Il romanzo “E poi saremo salvi” nasce da un lungo periodo di riflessioni, ricerche, scrittura e riscrittura dell’autrice, la quale ha scelto di parlare di cose molto dure e di farlo prendendosi del tempo.
Ha lavorato molto per rendere accettabile tutto quello che è successo ai personaggi del suo libro – libro che parla sì di personaggi inventati, ma riguardo a fatti assolutamente verosimili che hanno vissuto moltissime persone in quegli anni – e le ci è voluto del tempo per riordinare le idee ed il materiale, per riviverlo ed immedesimarti, accogliendo le storie di tante persone che hanno dovuto affrontare quel periodo tosto e complicato.
Il lavoro di ricerca di una misura adatta per parlare di tutto ciò che ha scelto di inserire è stato un lavoro che l’ha fatta riflettere molto. Soprattutto perché ha scelto di strutturare il libro nel corso degli anni, durante i quali i lettori si affacciano sulla vita dei personaggi principali, che cambia in modo diverso a seconda della persona. Certo, la protagonista Aida è quella più evidente, visto che la narrazione è fatta in prima persona dal suo punto di vista, ma allo stesso tempo, attraverso le sue parole, possiamo capire anche quanto la sua famiglia ne risenta di questi cambiamenti (voluti e non) e con che forza debbano affrontare le conseguenze.

Non posso svelarvi come, ma mi ha colpito molto l’evoluzione del piccolo Ibro, forse anche più di quella della sorella maggiore.

Immaginavo fin da subito che non sarebbe stata una lettura leggera né tantomeno divertente, però questo libro intenso e dalle tonalità tristi, mi ha lasciato un retrogusto amaro, non per la scrittura – Alessandra Carati scrive in modo coinvolgente e scorrevolissimo, e ho letto il suo libro quasi tutto d’un fiato! – ma per gli argomenti trattati.
Mi sono immedesimata nella vita dei protagonisti ed empaticamente ho sofferto con loro e mi sono dispiaciuta per la loro sorte… sorte che capita purtroppo a moltissime persone e che dovrebbe far riflettere tutti quelli che sono “più fortunati” che non hanno mai dovuto essere costretti a scappare dalla propria casa, dalle proprie certezze per cercare la salvezza e un futuro migliore in luoghi lontani e sconosciuti… anche a costo di non essere accettati.
E questa cosa fa male, molto.

Nonostante ciò, ho apprezzato questo libro per la sincerità con cui è stato scritto, e fa sempre bene leggere anche di realtà e verità, a qualsiasi età e in qualsiasi momento della vita.
Per questo vi consiglio la lettura di “E poi saremo salvi” di Alessandra Carati.

Buona lettura,

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