[RECENSIONE] IO NON MI CHIAMO MIRIAM - MAJGULL AXELSSON - IPERBOREA


Buongiorno Sognalettori,
oggi vi parlo di "Io non mi chiamo Miriam" di Majgull Axelsson, pubblicato da Iperborea.

Majgull Axelsson (1947), scrittrice, drammaturga e giornalista, è una delle più apprezzate autrici svedesi, tradotta in ventitré lingue e premiata con l’ambito Augustpriset.
Dopo essersi affermata con inchieste su spinose problematiche sociali, come la prostituzione infantile nel Terzo mondo e la povertà in Svezia, ha esordito con successo nella narrativa, coniugando l’attenzione per le ingiustizie e per le condizioni di disagio materiale ed esistenziale con una grande capacità di calarsi nei destini dei suoi personaggi.
È cresciuta a Nässjö, dove si svolge parte della vicenda narrata in Io non mi chiamo Miriam.


IL ROMANZO


Titolo: Io non mi chiamo Miriam
Autore: Majgull Axelsson
Data di uscita: 29 Settembre 2016
Genere: Narrativa contemporanea straniera | Storico
Pagine: 576


«Io non mi chiamo Miriam», dice di colpo un’elegante signora svedese il giorno del suo ottantacinquesimo compleanno, di fronte al bracciale con il nome inciso che le regala la famiglia. Quella che le sfugge è una verità tenuta nascosta per settant’anni, ma che ora sente il bisogno e il dovere di confessare alla sua giovane nipote: la storia di una ragazzina rom di nome Malika che sopravvisse ai campi di concentramento fingendosi ebrea, infilando i vestiti di una coetanea morta durante il viaggio da Auschwitz a Ravensbrück. Così Malika diventò Miriam, e per paura di essere esclusa, abbandonata a se stessa, o per un disperato desiderio di appartenenza continuò sempre a mentire, anche quando fu accolta calorosamente nella Svezia del dopoguerra, dove i rom, malgrado tutto, erano ancora perseguitati. Dando voce e corpo a una donna non ebrea che ha vissuto sulla propria pelle l’Olocausto, Majgull Axelsson affronta con rara delicatezza e profonda empatia uno dei capitoli più dolorosi della storia d’Europa e il destino poco noto del fiero popolo rom, che osò ribellarsi con ogni mezzo alle SS di Auschwitz. Io non mi chiamo Miriam parla ai nostri giorni di crescente sospetto verso l’«altro» interrogandosi sull’identità – etnica, culturale, ma soprattutto personale – e riuscendo a trasmettere la paura e la forza di una persona sola al mondo, costretta nel lager come per il resto della vita a tacere, fingere e stare all’erta, a soppesare ogni sguardo senza mai potersi fidare di nessuno, a soffocare i ricordi, i rimorsi, il dolore per gli affetti perduti: «Non si può dire tutto! Non se si è della razza sbagliata e si ha vissuto sulla propria pelle l’intero secolo.»


In genere ogni 27 gennaio, in ricordo della Shoah, leggo sempre libri a tema.
Lo sterminio del popolo ebraico è per me, e credo per il resto dell'umanità, una pagina nera della storia.
Vorrei chiedere scusa per la follia umana ad ognuno di quei bambini, di quegli uomini, di quelle donne e di quei vecchi che hanno vissuto una barbarie immotivata in nome di una follia umana che non mi spiego.

Questa volta ho scelto di affrontare uno scritto che parlasse di un'altra etnia che ha subìto atroci persecuzioni, non solo nei campi di sterminio ma anche a guerra conclusa: gli zingari.

Il romanzo dell'Axelsson ci fa capire che non erano solo gli ebrei a patire nei campi, quindi qui si parla anche di quelle minoranze di cui forse non si parla abbastanza.

Ritengo che la scrittura dell'autrice sia magistrale, riesce a "giocare" con continui salti temporali senza mai far perdere al lettore la concentrazione o il filo conduttore. Mi sono affezionata ad ogni periodo della narrazione che svelava poco alla volta personaggi magari solo accennati nel racconto iniziale.

Una caratteristica importante da sottolineare è che questo libro non è tratto da una storia vera, cioè l'autrice si è documentata con libri, interviste e viaggi e ha costruito Malika e Miriam immaginando una ragazzina che per salvarsi è stata costretta a "rubare l'identità" di un'altra sua coetanea.

Per tutto questo romanzo mi sono chiesta se sia giusto vivere una vita di menzogna, se sia una forma di tradimento negare le proprie origini. Io mi sono data una risposta.
Purtroppo la paura della solitudine, dell'ignoranza della gente, oppure la voglia di sopravvivenza e di tranquillità, avrebbe potuto far prendere anche a me la stessa decisione della protagonista perché prima di essere ebrei, zingari, testimoni di Geova o omosessuali, o qualsiasi altra catalogazione, si è prima di tutto esseri umani.

Libro davvero molto consigliato.




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