[RECENSIONE] SORTILEGI - BIANCA PITZORNO - BOMPIANI


Buongiorno Sognalettori!
Oggi vi parlo di un libro molto speciale “SORTILEGI" di Bianca Pitzorno, pubblicato dalla casa editrice Bompiani, che ringrazio per la copia digitale.

Bianca Pitzorno (Sassari 1942) ha pubblicato dal 1970 a oggi circa cinquanta opere tra saggi e romanzi, per bambini e adulti, che in Italia hanno superato i due milioni di copie vendute e sono stati tradotti in moltissimi Paesi. Ha tradotto a sua volta Tolkien, Sylvia Plath, David Grossman, Enrique Perez Diaz, Töve Jansson, Soledad Cruz Guerra e Mariela Castro Espín. Tra i suoi titoli più noti: Extraterrestre alla pari, 1979; Vita di Eleonora d’Arborea, 1984 e 2010; Ascolta il mio cuore, 1991; Le bambine dell’Avana non hanno paura di niente, 2006; Giuni Russo, da Un’estate al mare al Carmelo, 2009; La vita sessuale dei nostri antenati (spiegata a mia cugina Lauretta che vuol credersi nata per partenogenesi), 2015 e Il sogno della macchina da cucire, 2018.


IL ROMANZO


Titolo: Sortilegi
Autore: Bianca Pitzorno
Data di uscita: 10 Marzo 2021
Genere: Narrativa italiana contemporanea
Pagine: 144

Mentre infuria la peste del Seicento, una bambina cresce in totale solitudine nel cuore di un bosco e a sedici anni è così bella e selvatica da sembrare una strega e far divampare il fuoco della superstizione. Un uomo si innamora delle orme lasciate sulla sabbia da piedi leggeri e una donna delusa scaglia una terribile maledizione. Il profumo di biscotti impalpabili come il vento fa imbizzarrire i cavalli argentini nelle notti di luna. Bianca Pitzorno attinge alla realtà storica per scrivere tre racconti che sono percorsi dal filo di un sortilegio. Ci porta lontano nel tempo e nello spazio, ci restituisce il sapore di parole e pratiche remote – l’italiano secentesco, le procedure di affidamento di un orfano nella Sardegna aragonese, una ricetta segreta – e come nelle fiabe antiche osa dirci la verità: l’incantesimo più potente e meraviglioso, nel bene e nel male, è quello prodotto dalla mente umana. I personaggi di Bianca Pitzorno sono da sempre creature che rifiutano di adeguarsi al proprio tempo, che rivendicano il diritto a non essere rinchiuse nella gabbia di una categoria, di un comportamento “adeguato”, e che sono pronte a vivere fino in fondo le conseguenze della propria unicità. Così le protagoniste e i protagonisti di queste pagine ci fanno sognare e ci parlano di noi, delle nostre paure, delle nostre meschinità, del potere misterioso e fantastico delle parole, che possono uccidere o salvare.


“Sortilegi” raccoglie tre racconti di donne, di lunghezza e di argomento storico diverso, che contengono tutta la potenza narrativa di Bianca Pitzorno. Il filo storico-magico che lega le storie brevi è proprio il “sortilegio”, un incantesimo, una pratica rituale di oggetti concreti.

Nel primo racconto, “La strega”, la Pitzorno ci racconta com’è facile trovare un bersaglio per espiare l’odio, qualcuno con cui prendersela e a cui dare la colpa. Trasformare un bisbiglio in una convinzione e plasmare la realtà.
I fatti narrati si svolgono nel ‘600, in pieno periodo di peste e di caccia alle streghe.
Quella di Caterina è una vicenda dura e dolorosa anche per chi la legge, narra la cronaca degli orrori di quel tempo, in cui si agiva convinti di essere nel giusto, trincerandosi dietro la religione per giustificare barbarie inaudite. La sopravvissuta Caterina, è convinta che tutti siano scomparsi sulla terra e convive con la natura in armonia. Protetta finché non incontra gli altri uomini, che rompono ogni equilibrio con violenza ed arroganza. Capro espiatorio, come tante donne sono state, colpevole di bellezza e indipendenza.

“Tre nei segnavano la sconosciuta sulla gota destra, come tre stelle oscure su un cielo color latte.”

Da parte dell’autrice c’è un’incredibile cura nella scelta delle parole e del registro narrativo che sembrano un ricordo lontano. Il linguaggio cronachistico scelto è quello storico, aderente ai tempi del racconto, che ricalca volutamente quella dell’epoca. Il linguaggio e la sua ricchezza sono un tema caro all’autrice, che restituisce potere alla parola, maneggiando con maestria questo strumento.

“Un italiano straordinariamente espressivo, antico ma non antiquato, musicale, malinconico o ironico a seconda dell’argomento”.

Bianca Pitzorno in una nota dichiara di aver tratto spunto dalle “Lettere al padre” di suor Maria Celeste, al secolo Virginia Galilei, figlia dello scienziato.
Sempre nella nota, l’autrice ci racconta che oltre a quelle lettere, a darle la spinta a raccontare la storia di Caterina e dei suoi compaesani è stato

“il meccanismo terribile con quale una comunità, in un periodo difficile, passo dopo passo arriva a creare un capro espiatorio che poi nessuno sarà più in grado di difendere”.

Un testo di pregio che l’autrice scrisse come nucleo nel 1990, illustrato da Piero Ventura nel libro che ho adorato “Ritratto di una strega”, e che è stato ripreso oggi, rivisto e ampliato, dopo aver constatato quante affinità abbia questa storia con l’attuale situazione di isolamento e solitudine, di paura e sospetto causata dal virus. Caterina verrà processata in contemporanea a Galileo Galilei, li accomuna il territorio e il tempo. Virginia Galilei, di lui figlia, poi lo racconterà una volta divenuta suor Maria Celeste. In una di queste lettere parlando del male contagioso, raccontò della famiglia dei Farcigli, che erano morti tutti. A questi dati storici Bianca Pitzorno ripercorre e aggiunge l’archetipo di Cappuccetto Rosso, narrando di una bambina sopravvissuta nel bosco, mescolando realtà e fantasia in uno straziante racconto che non dimenticherò mai.

“In realtà la versione originale partiva con lei che era già adulta, mentre questa volta ho voluto esplorare la sua infanzia selvatica. Anche perché nel frattempo avevo fatto diversi approfondimenti sui bambini selvaggi, ovvero quei bambini che sono cresciuti lontani dal consorzio umano, come Il ragazzo selvaggio studiato nei primi dell’Ottocento dal pedagogista Jean Itard e poi portato sullo schermo da François Truffaut, o anche Kaspar Hauser, il ragazzo che aveva vissuto fino all’adolescenza in una grotta buia”.

Nel secondo racconto, “Maledizione”, un forestiero confessa a una giovane donna che

“prima di innamorarsi di lei si era innamorato delle orme dei suoi piedi scalzi che un giorno aveva visto impresse sulla sabbia della riva”.

Il potere delle parole in una riflessione antropologica, che narra di una tovaglietta, manufatto realmente esistente, reperto che sarà presto esposta al Museo etnografico di Sassari, città natale dell’autrice. Mediare una maledizione attraverso delle parole ricamate su un quadratino di lino, le intenzioni di chi aveva commissionato il ricamo fatto da un’analfabeta. Le ricerche storiche accurate ci rivelano di come in Sardegna alla fine dell’800 ci si occupava degli orfani. L’autrice racconta le storie apparentemente di fantasia restituendoci le verità storiche dell’epoca in oggetto, con dettagli e documenti.
Una bellissima storia, in cui la cattiveria viene sconfitta dall’innocenza, dalla bontà d’animo.

Protagonisti dell’ultima storia, “Profumo”, sono il vento e una “fragranza magica e squisita”. Un delizioso pretesto per parlare di nostalgia, di tradizioni, di unicità. Ci riporta agli anni ’50 e ci parla di emigrazione, del legame con le proprie radici e dell’amore per la propria terra. Ci viene narrato attraverso i “biscotti del vento”, dall’origine molto antica, poetici e profumati, regalando conforto, la magia e il tentativo di riappropriarsi dei ricordi. I forti sentimenti che i profumi evocano, le donne custodi dei segreti di famiglia, ci conducono in un viaggio avventuroso verso l’Argentina.

Il tono della Pitzorno rimane sempre quello della favola, di quel tipo di racconto che si tramandava oralmente, davanti al fuoco. Ma le vicende narrate sono saldamente ancorate alla realtà, legate ai tempi in cui si svolgono, non “archetipi di una realtà crudele, non fantasie”. E quando finalmente si riesce a coglierne la differenza, la forza di queste pagine arriva quasi con prepotenza nel cuore di chi legge. Il sortilegio della paura, della superstizione, dell’amore. Tre storie che ci raccontano i prodigi dell’animo umano. Tra donne buone e povere aperte alla natura e al rispetto a chi non viene neanche nominata da quanta crudeltà la contraddistingua, indegna di un nome.
Ancora una volta personaggi unici e la consapevolezza che l’animo umano è tinto da molteplici sfumature. Sfumature che Bianca Pitzorno sa perfettamente cogliere e trasformare in parole.

Il vero sortilegio lo ha fatto l’autrice, che da sempre leggo avidamente, è riuscita a mettermi davanti ad uno specchio tra passato e presente, per non dimenticare chi siamo state e chi potremmo essere: anche i bambini crescono. In questo libro si trova molto oltre i tre racconti: c’è un percorso storico e linguistico articolato e documentato da una vastissima bibliografia e ricerche d’archivio, scatole cinesi inesauribili, un dono.



Nessun commento