[Blog Tour] LA LUCE CHE RESTA - Evita Greco - Garzanti - RECENSIONE + INTERVISTA ALL'AUTRICE



Buongiorno Sognalettori,

oggi concludiamo il blog tour de La luce che resta di Evita Greco, edito Garzanti (che ringraziamo per la copia digitale!)
IL ROMANZO

Titolo: La luce che resta
Autore/Autrice: Evita Greco
Editore: Garzanti
Data di uscita: 13 settembre
Genere: Narrativa
Pagine: 287
Prezzo cartaceo: 17,90€
Prezzo ebook: 9,99€


Il paesaggio scorre veloce al di là dei grandi finestrini. Come ogni giorno, Carlo è sul treno. Non è lì per andare al lavoro. È lì per seguire sua madre. Nel breve spazio che intercorre tra una fermata e l'altra del convoglio regionale, Filomena rivive il ricordo che le è più caro: un viaggio in moto, con il vento tra i capelli, stretta a quello che sarebbe diventato l'uomo della sua vita. Carlo è lì per proteggerla, per prendersi cura di lei. Come lei non è mai riuscita a fare con lui, ma come lui fa da sempre. Come si è ripromesso di fare sin da quando era bambino. Come fa ancora oggi, trent'anni dopo: la sua vita è come bloccata, frenata dal legame, troppo stretto, con la madre. Troppo radicato nelle pieghe del tempo. Fino al giorno in cui, su quel treno, Carlo incontra una donna, Cara, e la sua bambina. Qualcosa di magico le unisce. Un linguaggio unico, fatto di storie raccontate, di risate, di gesti semplici, di allegria. Tutto ciò che Carlo non ha mai vissuto, e che fa nascere in lui il desiderio di far parte di quell'amore, di riceverne anche solo un piccolo pezzo. Perché anche un piccolo pezzo può essere sufficiente. A mano a mano che i due si avvicinano, in Carlo riaffiorano sentimenti dimenticati da tempo. Sentimenti difficili da ascoltare o da negare. Eppure, proprio grazie alla dolcezza di Cara e di sua figlia, Carlo fa finalmente i conti con sua madre. Con l'infanzia che l'ha fatto diventare l'uomo che è ora. Con i suoi pregi e i suoi difetti. Ma soprattutto scopre un segreto sepolto nel passato della sua famiglia. Un segreto che, come una crepa, aprirà un varco nella sua anima per permettere alla luce di penetrarvi ancora. Un romanzo sull'essere madre e sul sentirsi figli. Sulle responsabilità e sui sogni. Sul prendersi cura degli altri e delle loro debolezze. Una storia dove il cncetto di famiglia si allarga per racchiudere tutto l'amore possibile.


È un romanzo che mi ha presa tantissimo, invitandomi a riflettere su quelle che sono le crepe della vita. Un paio di anni fa, in un mio scritto, parlavo di uno strappo nel cielo e di come ogni persona debba affrontare il proprio rassegnandosi all’idea di vivere sotto un cielo di carta. Magari sarà una versione pirandelliana della vita, ma credo sia la più intensa, la più vera. Insomma, passiamo il tempo ad osservare il nostro “strappo nel cielo” senza renderci conto che è proprio quello strappo, quella crepa, a renderci unici.



Gli piace provare a capire la reazione della gente di fronte alla crepa delle cose. È il suo posto, la crepa delle cose. Un piede sul fronte di una crepa e uno sull’altro. 

Carlo è un personaggio particolare, in cui mi sono ritrovata molto. Ha sempre quella terribile sensazione di sentirsi fuori posto, di non essere all’altezza e, soprattutto aspetta che le cose accadano da sé. Prima di fare una qualsiasi telefonata compone e ricompone il numero, per poi non trovare il coraggio. C’è qualcosa che lo blocca, qualcosa che lo spinge a rimandare in continuazione. Evita di legarsi a fatti, cose, persone, per il semplice fatto che “lasciar andare” gli pare sempre la soluzione più comoda, più semplice, meno rischiosa. L’unica priorità, per lui, è sua madre.
Carlo sa che sua madre non è mai tornata davvero, ma che lui deve continuare a fare quello per cui è fatto: tenere insieme i pezzi in cui a sua madre capita di finire.
«Va tutto bene, mamma», le dice.
Filomena, madre di Carlo, è una donna forte che ha smesso di lottare; che non ricorda più la ragione per cui lo facesse. Parla di suo marito Marco ricordando ogni momento felice, anche se di momenti felici non ne ha più.
[…] anche tutto il resto somigliava a quello che aveva sempre sognato quando non sapeva nemmeno che cosa stesse sognando.
Una serie di gravidanze interrotte hanno fatto sì che si creasse una crepa nella sua personalità. Non sarà facile nemmeno per Marco, che contrariamente a sua moglie cerca nuove speranze, anche quando sente di non averne affatto.

Quella notte, a casa, Marco provò a minimizzare il fatto che tutto fosse quasi pronto per l’arrivo di Diamante. Innanzitutto tolse dalla parete della stanza della bambina i quadretti con la scritta del suo nome. Tolse per primo quello dedicato a lei, per quando avrebbe guardato il mare. Poi quello per quando avrebbe guardato il sole. Infine l’ultimo, quello che gli pareva più adatto a una bambina. Quello con un palloncino che sorrideva. Per quando dal soffitto guardi il cielo, c’era scritto. Lo tenne in mano per un po’. Poi pianse, urlò e bestemmiò.

Cara, invece, è una donna dai mille impegni; con due lavori sottopagati, una laurea da prendere e una bambina da crescere. Si rimbocca le maniche ogni giorno e cerca di essere una buona madre, di non far mancare nulla alla piccola Vita, ma non è semplice far tutto da soli. Pensa in continuazione a un proverbio africano: per crescere un bambino ci vuole un villaggio. Un villaggio che lei sente di non avere.

Crescere un bambino non è una cosa che si può fare da soli. Lei quel villaggio non ce l’ha, non sente di averlo quando per strada capita che Vita pianga e la gente la guardi facendola sentire sbagliata.

Mi ha incuriosita molto il fatto che gran parte della storia si sia svolta in treno. O meglio, il treno è una sorta di punto d’incontro; non accade nulla di importante, ma se Carlo e Cara non avessero preso quel treno non si sarebbero mai incontrati. Tutti quei passeggeri sono lì e ogni giorno affrontano una difficoltà, cercano di salire anche se all’ultimo secondo e hanno qualcosa per cui lottare. Hanno una storia.

L’incontro dei due ragazzi darà alle loro storie una svolta diversa... Carlo troverà un posto in cui essere se stesso? E Cara troverà il suo villaggio? Tutto avrà inizio con un gesto di cortesia da parte di Carlo per sfociare poi in qualcosa di più... Nonostante sia un personaggio che fugge da tutto e da tutti, ritrova in Cara una luce che lo spingerà ad andare oltre le crepe che hanno da sempre limitato il suo carattere.

A questo punto non ho potuto fare a meno di pensare alla frase “nessuno si salva da solo”.
Siamo curiosi, noi esseri umani. Convinciamo noi stessi e il mondo di potercela fare da soli e in realtà abbiamo soltanto bisogno di qualcuno che ci chieda di restare, abbiamo bisogno di un villaggio, di un posto per noi.


Abbiamo provato a chiedere all’autrice, la dolcissima e inimitabile Evita Greco, qualche approfondimento su questa visione della realtà.


“La luce che resta” è un titolo molto interessante che a primo impatto invita a guardare esattamente ciò che resta in ognuno di noi. Ogni personaggio del romanzo ha una storia ben precisa, apparentemente normale, ma che in profondità rivela delle crepe. A quale di questi personaggi ti senti più legata e perché?

Molto più che nel primo romanzo, in cui c’era un personaggio che mi somigliava e a cui ero davvero vicina, qui mi sento vicina a tutti. Ognuno, in questa storia, attraversa la sua “notte”, ci fa i conti, e si trova a maneggiare quel che resta di questo viaggio attraverso il buio. Ognuno ha la sua luce che resta, così come nella vita. Non è necessariamente qualcosa di drammatico come quel che capita a Filomena. Certe volte il “buio” è solo una fase utile e non necessariamente dolorosa, dopo la quale ci ritroviamo cambiati, cresciuti. Ed è probabile che arrivino poi altre notti, dopo le quali arriveranno altre albe. Mi piace provare a capire come si muovono le persone quando fanno i conti con la propria notte, mi piace provare a capire cosa si fa quando si cerca di tenere insieme i pezzi, non a caso, uno dei titoli a cui avevo pensato per questa storia era “tenendo insieme la notte”. Fatto sta che tutti i personaggi hanno qualcosa di me. Cara rappresenta un modello di donna e di mamma forte, al quale ambisco ma a cui forse non arriverò mai. Sono emotivamente  molto vicina alle fragilità di Filomena, anche se non mi appartengono. Ammiro Marco per la forza con cui affronta quel che gli accade, mi piace il fatto che gli rimanga una forma di tenerezza, ma non condivido i suoi silenzi. Di Carlo mi piace un po’ tutto, ma anche lui ha una sorta di forza che io non credo di aver ancora raggiunto.

La storia ha inizio in un treno, simbolo del “viaggio della vita”: tanti passeggeri che spesso non si rivolgono neanche la parola, eppure si conoscono, si cercano, in qualche modo si completano. Una sorta di costellazione. 
Cosa spinge un autore a raccontare la molteplicità dei punti di vista? Soprattutto, quanto è stato difficile tessere una trama basata su più occhi?
Io adoro i treni, così come gli autobus, o tutti i posti in cui persone che non si conoscono sono “costrette” a condividere uno spazio e un tempo. Sono i posti ideali in cui iniziare ad immaginare storie. Io non mi fido quasi mai del mio punto di vista, anche se il mio sguardo è la sola “arma” che ho. Un esercizio che mi appartiene è sforzarmi di mettermi nei panni di tutti, provare a comprendere uno sguardo diverso dal mio. Da quando ho avuto i miei bambini sono molto concentrata sul tema della “maternità”. Questa storia è il frutto del mio tentativo di guardare a questo tema da un punto di vista che non sia solo il mio. Anche se, essendo appunto il mio il solo sguardo che ho, c’è un po’ di me negli sguardi e nei punti di vista di ognuno dei personaggi. Insieme a caratteristiche che, spero, sono solo loro.

Guarda lo spettacolo senza vederlo, ride quando sente che gli altri ridono, applaude quando gli altri applaudono. Non vuole che Vita si accorga di niente, non vuole che su Cara ricada lo sguardo di chi si sente fuori posto. 
L’eterna sensazione di far parte di qualcosa di diverso, quel disagio che in molti provano, persiste nella figura di Carlo. Tutti pensano che abbia avuto vita facile, che essendo figlio di un avvocato abbia ottenuto sempre tutto dalla vita, senza rendersi conto che in realtà non aveva la cosa più importante: la vita stessa. In qualche modo questo personaggio rappresenta chi fa parte del progetto d’altri, ma mai del suo.Riferendoti al mondo d’oggi, chi è per te Carlo e cosa lo rende speciale?
Carlo può essere ognuno di noi. Penso che, in un modo o nell’altro, tutti abbiamo vissuto un passaggio simile, un momento in cui ci siamo dovuti interrogare a fondo sul posto dove eravamo, dentro la nostra vita. Lui è proprio in quel punto, deve finalmente farsi domande, trovare risposte e agire di conseguenza. Spesso ci lasciamo distrarre, crediamo di sapere cosa ci si aspetta da noi, crediamo di sapere come ci dobbiamo comportare. Poi arriva il momento in cui ci accorgiamo che forse non siamo proprio dove dovremmo, che sono solo le nostre le “aspettative” che non dovremmo deludere e riprendere il comando è dura. Certe volte, credo, questa fase implica la rottura di qualcosa. L’aprirsi di qualche crepa, appunto. Ma sono crepe “buone”, che lasciano spazio per fare uscire quello che siamo e quello che dobbiamo diventare. Per crescere, insomma.

Dando un’occhiata alla tua bibliografia sono rimasta molto colpita da “Il rumore delle cose che iniziano”, in particolar modo da questa frase:
perché le cose, quando finiscono, lo fanno in silenzio, ma quando iniziano invece fanno un rumore bellissimo.
A questo punto ti chiederei: che rumore fa la felicità?
Il rumore dei passi di un bambino, quando scende dal letto e corre verso quel che lo aspetta. 


Intervistare Evita è stato davvero emozionante per me, credo di essermi davvero commossa ad ogni sua risposta; soprattutto per il rumore dei passi di un bambino. Credo abbia pienamente ragione: è il tipo di felicità che fa un rumore pazzesco e che, contemporaneamente, segna un inizio stravolgente che può solo far battere il cuore.



La luce che resta uscirà domani 13 settembre ed è un libro che vi CONSIGLIO VIVAMENTE!


Ho amato ogni pagina, l’ho respirata, l’ho sentita sulla pelle. È un romanzo scritto molto bene, fluente, scorrevole, diretto. Uno di quei libri che invita a guardarsi dentro e a capire chi si è e di cosa si ha veramente bisogno.

Ho riletto più volte determinati paragrafi proprio perché ci ho trovato me stessa, domande che non ho mai avuto il coraggio di pormi.

Passiamo tutta la vita a chiederci cosa ci rende felici, senza mai interrogarci sull’aspetto più importante: cosa possiamo fare per essere felici?

Vi auguro di trovare le risposte alle vostre crepe e sono convinta che questo libro vi farà riflettere su quanto straordinaria sia la vita, se la si vive senza lasciar che scorra. Un po’ come quando lasciamo il rubinetto aperto in bagno per non far sentire il singhiozzo delle nostre lacrime: potremmo lasciar scorrere l’acqua o chiudere il rubinetto, asciugarci le lacrime e lottare per la felicità.


Buona lettura!

Si conclude così il nostro Blog Tour, ma il vero viaggio inizierà domani 13 SETTEMBRE con l’uscita de “La luce che resta”.
Correte in libreria!






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